Cambiare e rimanere se stessi
Cambiare e rimanere se stessi
4 Maggio 2017

Cambiare e rimanere se stessi

È meglio rimanere sempre fedeli a se stessi o avere la lungimiranza di cambiare quando necessario?

Eh, ma che inizio peso, non mi riconosco più! Cosa mi sta succedendo? :)

Ch-ch-ch-ch-change!

Cambiare, a livello personale, è secondo me una delle cose più difficili in assoluto. Per la mia esperienza è impossibile, o molto vicino all’impossibile. Ci sono cose del mio carattere che non mi piacciono per niente, che odio, a tratti, che ho promesso mille volte di migliorare e cambiare ma non ce l’ho mai fatta. E la verità è che non ci ho mai nemmeno provato. Perché? Mistero (e parte Enrico Ruggeri)!

Altre cose, invece, sono riuscita a estirparle in modo drastico, come la mia atroce timidezza, che mi ha impedito di fare mille cose nell’adolescenza e quando avevo 20 anni. Quella, invece, non so come mai, è andata via. Mi sono molto forzata, ho molto pianto, ho passato interminabili notti insonni per la minima cosa ma poi, un giorno, ciao, non ero più timida.

Imodium per la mente

Cambiare sul lavoro, invece, è un po’ più facile, forse perché c’è una maggior componente di distacco, ma a volte la pigrizia e la paura hanno la meglio. Io tendo ad annoiarmi di tutto in un secondo, quindi per me cambiare sul lavoro è facilissimo, a volte pure troppo e, infatti, negli anni, sono stata cazziata e, da un po’ di tempo, mi sto sforzando di non rivoluzionare tutta Zandegù ogni 3×2 e di mantenere dei punti fermi. Una volta ho letto l’ultima intervista a John Lennon, dove diceva che aveva avuto un blocco creativo di anni e poi 3 settimane di diarrea compositiva. Dice proprio diarrhea. Ecco, quella frase mi ha molto colpito, perché io ho la caghetta di idee tutti i giorni. Troppe, troppe, delle esplosioni intestinali inaudite e, cazzarola, ogni volta mi dico: “Che idea brillante! Facciamolo, cambiamo tutto e facciamolo oraaaaa!”. Peccato che, per restare in metafora, spesso siano idee di merda. Quindi, è bene che cerchi di arginare questa mia voglia di cambiamento, prima che conduca al disastro. Devo quotidianamente prendere un Imodium mentale per stare con la pancia buona buona.

Sempre così

Certe persone (e ti assicuro che purtroppo ne conosco tante), però, sul lavoro non sono come me: si adagiano sugli allori, si accontentano di quelle 2 cose che funzionano, non mettono mai il naso fuori di casa, non ascoltano i pareri degli altri e ripetono fino alla nausea quello che sanno fare come un disco inceppato. Pensano: “Ho sempre fatto così, ha funzionato sempre così, la gente mi vuole così, è giusto così”. E non cambiano mai. E quelle che si dicono – che è sempre andata bene così – sono solo balle.

Se sei insicuro, magari a 40 anni non cambi più, certo. Ma i gusti delle persone, invece, quelli cambiano, e chi decide di non mettere mai in discussione il suo lavoro, secondo me, fa molto male, perché credo che la gente tenda a stufarsi in fretta e a cercare alternative migliori, più competitive, più allettanti e più alla moda.

Qui quo qua

Qualche giorno fa, qualcuno mi ha detto che, se sei un professionista molto bravo, quando iniziano a copiarti tu te ne freghi, perché stai già lavorando a cambiare pelle, a evolverti, ad andare più lontano, a stare 10 passi avanti.

Come avrai capito, sono la più grande fan del cambiamento sul lavoro. Forse perché con Zandegù cartacea ero tipo un’integralista talebana devota allo status quo (e anche qui e qua) e ne ho pagato le conseguenze. Sarà che dal cartaceo al digitale è stato un salto enorme e, se fai dei cambiamenti del genere, dopo è tutto in discesa, quando si tratta di mettersi in gioco ogni giorno. In questi anni, quando mi sono incaponita e ho ripetuto gli stessi schemi, convinta che prima o poi chi la dura la vince, mi son sempre fatta malissimo, tipo lei

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Oggi, invece, ho un approccio completamente diverso: quando capisco che qualcosa non sta andando come dovrebbe (un tipo di corso, un evento che proponiamo, una collana di ebook, una strategia di comunicazione), mi fermo, mi consulto con gli altri Zandezii e provo a cambiare qualcosa.

Ma non solo: mi confronto con un sacco di persone, dagli amici che la pensano come me, a quelli che sono completamente lontani dal mondo Zandegù e magari non sanno manco bene cosa faccio, fino ad arrivare ai miei genitori, passando per i clienti. Ogni parere lo considero, ogni idea la archivio. A volte, certe idee sono ridicole, assurde, da prendere con le pinze. Altre, invece, danno da pensare, generano un cambiamento, piccolo o grande non importa.

Questione di orecchie (a sventola)

Ok, quindi cambiare mi viene facile, ma sono anche maledettamente egocentrica, quindi mi sforzo ogni santissimo giorno di non pensare di avere la ricetta del successo di tasca, di essere consapevole che le mie idee non sono sempre ottime, che non ho ogni volta ragione e che, invece, gli altri a volte (spesso?) sì. Che 3 cervelli fanno sicuramente meglio del mio, da solo. Che se mia mamma mi ha fatto queste gigantesche orecchie a sventola, tanto vale che le usi per ascoltare cosa dicono gli altri. Potrei imparare qualcosa.

A 20 anni pensavo che cambiare strada significasse rinnegare tutto quello in cui credevo, che volesse dire immignottirsi. Invece, oggi non penso sia così. Non mi pare che abbandonare la carta in favore dei libri digitali abbia reso Zandegù un editore mediocre. Non penso che la nostra mission sia stata compromessa. Credo che nel 2010 abbiamo preso un pugno alla Bud Spencer in testa e non abbiamo saputo evitarlo. Oggi, invece, abbiamo acquisito gli strumenti per non farci male. Per rimanere noi, ma diversi. Noi, con grandi orecchie, e migliori.

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