17 Ottobre 2019

Dilettanti allo sbaraglio: 4 segnali per riconoscerli

[Guardo? Leggo? Fai tu! In entrambi parlo dei 4 segnali per riconoscere un dilettante sul lavoro!]

Te la ricordi la Corrida di Corrado? Era un po’ l’Italia’s Got Talent di chi oggi ha tra i 30 e i 50 anni. Persone con talenti vari si presentavano davanti a un pubblico munito di trombette, campanacci, tamburi. C’era chi cantava, chi faceva giochi di prestigio, chi le imitazioni, chi ballava: se eri bravo, applausi; se eri una schiappa, giù di campanacci. Lo slogan del programma era proprio “Dilettanti allo sbaraglio”

E, in tutta onestà, è l’impressione che ho spesso quando vedo certi freelance o piccole ditte: non si capisce se ci sono o se ci fanno.

Là fuori ci sono tantissimi professionisti bravissimi che si sbattono, creano valore e prodotti di qualità e poi ci sono, come sempre accade, i dilettanti allo sbaraglio.

All’inizio si può essere dei dilettanti allo sbaraglio

Bada bene: dilettante non ha sempre un’accezione negativa. Se sei agli inizi (meno di un anno di attività), ci sta che tu sia inesperto e incespicante, come un bimbo che prova a camminare e ogni tanto gattona ancora.

Ma chi non ha l’umiltà di accorgersi di aver bisogno di aiuto, chi è sempre convinto di sapere tutto (anche di settori lontanissimi dal proprio), chi perdura in comportamenti che fanno trasparire tutta la sua ingenuità, ecco, quello per me è un dilettante allo sbaraglio senza possibilità di redenzione.

Quali sono i segnali di allarme del dilettantismo, secondo me? Io drizzo le antenne quando vedo queste quattri cose:

1. Prodotti che sono solo nomi

È la sagra di nomi roboanti per servizi e prodotti. Ormai non si può dire “Servizio di traduzione”. È “Shirley Temple”. Poi vai a vedere ed è un servizio banalissimo, senza plus così incredibili, senza manco un ricciolo d’oro. Tutto nome e niente arrosto.

Raga, il naming è roba da professionisti (come Chiara Gandolfi): non basta un nome carino per fare il prodotto. Prima ci vanno basi solide, poi si studia il nome.

2. Homepage senza cura per la UX

Oggi va il sito con una homepage composta da: tua foto tutta denti + tua superba mission che alla fine, siamo sinceri, non vuol dire niente. Tipo pneumatico. Il vuoto dentro. Siti puccettosi pieni di lillà e fiori, ma senza un minimo di studio di UX, contenuti, call to action. Eccetera. Pagine contatto senza i contatti. Blog fermi al 2013. Presentazioni di prodotto che non vendono. Footer senza partita Iva.

Il sito è uno strumento di vendita, non è un bel vestitino nuovo per la Barbie. È la Barbie stessa. Senza Barbie non si gioca, no? Fuori di metafora, quello che voglio dire è che se il sito non è progettato con i famosi contro-conigli non fai sul serio.

3. Testi vuoti

Cioè quelle pagine di presentazione, o di vendita, o newsletter, o testi di servizio, o didascalie su Instagram, dove alla fine della fiera non c’è scritto niente. Non hanno scritto proprio “leader di settore”, ma poco ci manca.

C’è tanta poesia o tanto machismo, a seconda dei casi, ma di cosa sanno fare veramente… zero! Non si capiscono le competenze o i progetti. Di quello che vendono non si comprendono i vantaggi per il cliente. Non c’è studio. Sono solo parole incollate le une alle altre perché, sì dai, stanno bene insieme.

No! I testi devono essere ricchi come un cannolo siciliano, croccanti e lasciare un buon sapore. Devono informare, divertire, commuovere, convincere e vendere. I testi aiutano il cliente a orientarsi sui tuoi canali. Lui non vuole diventare tuo amico; vuole che tu, professionista, risolva i suoi problemi.

4. Canali social trascurati

Sembrano tutti i consulenti più fichi del pianeta, i fotografi più aggiornati d’Italia, i blogger più trendy della città e poi vai sul loro Instagram e non postano da 3 mesi. O usano il feed nello stesso modo in cui andrebbero usate le Stories. O hanno una newsletter che promette di svoltarti con consigli e link ma non la mandano mai. Non c’è niente di peggio di chi dovrebbe essere un esempio per la comunicazione online e poi razzola malissimo. Il famoso ciabattino con le scarpe rotte. Che se il ciabattino non postasse perché sta lavorando ci sta. Ma, purtroppo, spesso non posta perché non sa cosa sia una strategia, cosa sia un calendario editoriale, come darsi delle scadenze e rispettarle. Un improvvisato insomma.

Amico mio, quanta cruda realtà

Quanta durezza, in questo mio post. È perché sono stronza? No, o forse un po’ sì. Ma il punto è questo. Se ti riconosci, forse è il momento di chiedere una consulenza (non necessariamente a me, ma fatti aiutare) per chiarirti le idee. Se non hai i soldi per una consulenza, fai un corso (non necessariamente uno dei nostri, ma fanne uno) , leggi dei libri, guarda YouTube: è pieno di professionisti che spiegano gratis come migliorare nel lavoro.

Fare i freelance è una strada in salita, come lo era il palco per i dilettanti allo sbaraglio della Corrida. Arriveranno in cima solo quelli che hanno smesso di sentire i campanacci e le trombette ma che, di tanto in tanto, sentono partire qualche applauso.

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