La sindrome dell'impostore
La sindrome dell'impostore
19 Aprile 2018

La sindrome dell’impostore alla fine ha colpito anche me!

Ecco, prima o poi doveva succedere. Un post sulla sindrome dell’impostore made by Zandezia!

“Oh che barba!”, dirai tu. “Ma la sindrome dell’impostore non andava di moda nel 2016?“. Beh, può darsi, sono sempre rimasta indietro sugli ultimi trend, infatti mi faccio adesso i risvoltini ai jeans e mi sa che sono un po’ in ritardo :D

Cos’è la sindrome dell’impostore

Prima di tutto: cos’è la sindrome dell’impostore? In ambito lavorativo, è quella sensazione che coglie un professionista quando vorrebbe fare qualcosa ma si frena da solo perché pensa: “Non sono abbastanza bravo. Gino è più bravo di me su questa cosa, quindi forse non ha senso che anche io la faccia, o dica la mia. Io non sono bravo come lui e, forse, mai lo sarò”.

Insomma, delle specie di scarpe di cemento che ci facciamo da soli, che ci incollano al terreno e ci impediscono di andare da qualche parte.

In questi anni, l’ho vista da vicino decine di volte. Professionisti pazzeschi nel panico per uno speech perché pensano di non essere abbastanza bravi, freelance che decidono di non lanciare un dato servizio perché ce ne sono di simili e “il mio non aggiunge niente”, blogger che non bloggano perché “tanto non ne vale la pena. Chi vuoi che abbia intenzione di leggermi?”.

E ogni volta io basita. Ma come? Ma che cappero dicono? Perché ragionano così? Sono bravissimi, competenti, intelligenti, pieni di acume, idee, esperienza. Perché hanno queste insicurezze?

Proprio non mi capacitavo. Io, da lontano, nella mia posizione di collega, lettrice, cliente, li vedevo eccellenti. Non è che avessi zero empatia per la loro fragilità, anzi. Me li rendeva ancora più umani e simpatici. Però non capivo. Pensavo fosse un’impasse momentanea. Ma, a volte, invece, col cavolo che era momentanea!

Tantissime volte mi ero ritrovata a pensare: meno male che con tutta l’ansia, la rabbia e i piantini che già funestano la mia vita lavorativa, non ho pure il fardello della sindrome dell’impostore!

Finché

Ecco, finché la sindrome dell’impostore non ha colpito anche me. Diamine, non potevo mica essere da meno, no? Dopo 5 anni di onorato servizio, verso settembre 2017 mi è balenata un’idea che mi pareva bellissima e alla quale volevo disperatamente lavorare. E poi l’ho messa al sicuro nel freezer della mia mente, per tutti questi mesi, cercando un’alternativa perché pensavo di non essere abbastanza titolata, competente, ricca di esperienza per poterla mettere in pratica da sola. “Tanto la scongelo quando voglio. Lì dentro resta bella fresca”.

Cavolo, ci ero cascata pure io!

Non l’ho capito subito. Me ne sono resa conto quando mi sono guardata allo specchio e ho pensato: “Io di solito le cose le faccio, capita pure che mi butti a capofitto. Perché questa volta no? Sono davvero incasinata come dico?”.

No che non lo ero. Era una bugia che mi raccontavo. La verità è che avevo paura di confrontarmi con qualcosa di grosso, di mettermi in gioco, di farmi una figura di merda. Perché sì, magari si è più bravi di quello che ci si dice, ma potremmo anche non essere bravissimi, certo. E quindi se ci si lancia potrebbe capitare di farsi male. Però pazienza no? Se ci si fa male ci si rialza, no? Se noi per primi non ci diamo un’occasione per provare chi dovrebbe darcela?

Quindi a un certo punto mi sono detta: lo faccio.

Magari ti chiedi di cosa sto parlando

Ecco, a settembre ho pensato che due o tre cosette da dire sulla comunicazione, di un freelance o di una piccola ditta, le ho. Magari non sono una fine oratrice (ancora), magari non ho la competenza di un 50enne (ancora), magari non ho una conoscenza enciclopedica dell’argomento (ancora), ma quegli “ancora” sono buchi che posso riempire piano piano, strada facendo, e la mia campana, il mio punto di vista sul tema penso possa interessare. L’ho capito da certi commenti online, da certe email ricevute, da certe conversazioni con gli amici.

Ecco, le competenze me le posso fare, l’esperienza posso acquisirla ogni anno di più, ma il mio modo di vedere la cosa, unico e personale, è solo mio, ce l’ho già. E se interessa a qualcuno, come spero, sono già messa bene. Ho una cosa solo mia, che nessuno ha e che posso condividere.

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