Marianna con un ananas
Marianna con un ananas
4 Ottobre 2018

Quanto raccontare di sé online

[Questo è il solito post pieno di domande. Forse perché la questione di quanto sia giusto raccontare di sé online è spinosa e senza una risposta buona per tutti. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi. Quanto ti capita di postare online. Cosa ne pensi di chi condivide tutto. E di chi invece sta abbottonato]

Tra palco e portineria

I social sono il nostro palco, dove ci mettiamo in mostra. Cerchiamo di rendere speciale la nostra vita, attraverso foto e qualche lettera chiusa in un post. Siamo arrivati a raccontare praticamente tutto di noi: il matrimonio, i figli, le vacanze, i successi, le feste.

I social sono la nostra portineria, dove ci mettiamo in ascolto a sentire cosa combinano gli altri: chi si è lasciato, dove sono andati in vacanza, guarda quello quanti soldi ha, ammazza com’è ingrassato, hanno fatto un altro figlio?

Un po’ è vero, dai

A volte sono l’incrocio dove uno brucia lo stop, l’altro inchioda e ci si insulta senza freni, si fanno gestacci e vengono fuori i nostri lati peggiori: per strada protetti dal parabrezza, online dallo schermo.

A volte ancora sono la proiezione di chi vorremmo essere e non siamo, la vita che vorremmo avere e che fingiamo di avere perché la nostra non ci piace. Dico che mi sento felice e SARÒ felice, anche se va tutto da schifo. E se qualcuno mi commenta, allora dai, un po’ è vero che va tutto bene.

Salvini e Pausini

Questo se siamo dei privati. Se, invece, ho un business, o sono un freelance, o ho un progetto creativo, che racconto attraverso blog e social, quanto devo condividere della mia vita privata? Devo dire che sono malato, mi sono lasciato/mi sono fidanzato, voto 5 stelle/PD/Salvini, mi hanno tradita, sono pro o contro l’aborto, credo in Dio, vado dallo psicologo, mi piace Laura Pausini, ho avuto un appuntamento orrendo con uno conosciuto online?

Il solito “dipende”

Tutti là fuori a questa domanda rispondono: “Dipende”. E io cosa dovrei capire da questo “Dipende”?

Dipende da me e da quanto mi voglio esporre? O dipende dalla gente e da quanto vuole farsi gli affari miei? E quanto questa esposizione, calcolata o meno, può diventare un’arma a doppio taglio? Cioè, esagero (troppo reticente o troppo aperto) e la gente si scoccia e non mi segue più?

Voglio essere io, solo io, nient’altro che io, come sono nella realtà? O voglio essere un io-personaggio, un po’ me e un po’ altro perché alla fine i social non sono la vita vera?

Quando ho deciso di espormi online per Zandegù?

Per anni non ho voluto dare nemmeno la minima opinione su nulla, manco se preferivo il giallo al rosso (sì, preferisco il giallo). Poi, dal 2015 circa, ho iniziato a dire la mia, semplicemente menzionando i miei gusti in fatto di film e musica. Poi le mie idee sull’editoria.

Ora se mi chiedono di espormi non ho problemi. Non sono la migliore oratrice del mondo, certo, e a volte ho difficoltà ad articolare bene i miei pensieri, ma ho delle idee in testa e non mi vergogno più a esprimerle. Se decidi, come ho fatto io, di aprire bocca, fai sentire la tua voce. Qualcuno potrebbe ascoltarla e farla sua. Non male, no? Ma è una grandissima responsabilità. E su questo ci torneremo nelle settimane a venire, perché è un tema per me importante.

Perché l’ho fatto?

Mi sono esposta per farmi conoscere: credo davvero che le persone si affezionino di più alle altre persone che ai marchi. Zandegù sono dei bei corsi e dei bei libri, ma non ti affezioni al corso. Ti affezioni all’insegnante, ai compagni, allo scrittore. O a noi, me e Marco in primis. A come ti scriviamo le email, o a come ti salutiamo quando entri nella nostra sede. Se fossimo sempre stati muti, quasi come dei manichini, la gente non avrebbe imparato a volerci bene. Invece apriamo bocca, facciamo battute, siamo gentili, consigliamo delle cose e le persone ci seguono.

Il post sulla paura

Esporsi, inevitabilmente, significa anche dire qualcosa di sé, di un po’ più intimo. Ma, per tornare a bomba, quanto è lecito dire?

Sono partita raccontando solo il dietro le quinte del lavoro. Poi, il 12 gennaio 2017 ho scritto un post sulla paura e ho ricevuto tantissime risposte da persone che si identificavano e mi ringraziavano per essermi aperta così. A me sembrava di non aver detto niente di che, delle cose molto normali, che chiunque mi conosce sa da tempo. Ma non erano banali.

Per tornare alla Pausini: Resta in ascolto!

Dopo quel post, sono stati i lettori a tirarmi fuori le cose personali. Ed è così che ho iniziato a raccontare la fatica dell’essere in proprio. Più io mi aprivo, più si aprivano loro, in uno scambio bellissimo. Uno scambio che era una pacca sulla spalla, un “teniamoci la mano” ché le cose insieme si fanno meno difficili, un “non voglio sentirmi solo in questa situazione e non lo sono”.

Quindi se mi chiedono quanto è giusto raccontare di sé online rispondo così. Mettiti in ascolto. Saranno gli altri a dirti quanto. Se è troppo o troppo poco. E se le cose che dici aiutano, portano valore, divertono, danno sollievo, allora le tue cose personali smettono di essere personali e diventano universali.

Ecco, la chiave per me è qui: se i tuoi fatti personali, qualunque essi siano, toccano gli altri e hanno un’universalità, allora è giusto condividerle. E magari questo accade semplicemente perché una volta hai raccontato di aver avuto paura. È una bella cosa, no?

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